Recensione - Apollo: Atmospheres and Soundtracks
2012-02-28
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Ma boh,  io odio come partono le recensioni. Tutte tutte tutte tutte tutte uguali, voglio dire, o si parte con un inquadramento storico, oppure con una aforisma molto cool, del tipo “Rogito ergo soccavoli”, “La vita è un varietè e ò cazz è comm ò rre!” o “I miei capelli fanno swiiish”. Talvolta però si tenta di fare qualcosa di diverso, sapete, per esempio, criticare i modi con cui si introduce una recensione. E questa, nel suo piccolo, mi sembra già una buona base da cui partire.

Penso sia inutile specificare chi è Eno. Il nostro Eno-logo Brian-zolo preferito è infatti una delle figure di spicco di quella musica, ma non solo di quella, attenzione, anche di quell’altra, e di quell’altra ancora, si insomma, un po’ di tutta, particolarmente rilassante e anche dal vago retrogusto soporifero.

Ebbene (o Ebene, tanto per citare ad canis cazzum il mio amato Klaus Schulze),  nel 1983 diviene reperibile il ferocemente discusso Apollo: Atmospheres and Soundtracks. Nonostante l’album parta con buoni, ma che dico buoni, buonissimi,anzi, buonerrimi propositi (si veda ad esempio An Ending (Ascent), una cosa incredibilmente strappalacrime), l’indice di qualità del disco precipita spesso e volentieri sotto soglie preoccupanti. Prendiamo “Matta”, ad esempio: ora, aldilà che un brano con quel nome A PRESCINDERE non ispira un particolare senso di bellezza e/o rilassatezza, vabbè, forse può essere che è una cosa mia, ma in ogni caso non mi spiego perché si sentano dei suoni cosi completamente decontestualizzati. Cioè, perché in un album che racconta, o meglio dovrebbe raccontare, le profondità dello spazio, si sentono rumori  simili a versi di  gnu? E ancora, il basso. Io mi chiedo: è veramente necessario inserire un basso così in evidenza e allo stesso tempo così poco coerente con il discorso musicale? Esempî lampanti sono in Under Stars, Under Stars II e Signals. Ascoltare per credere. Che poi non dico che non ci siano cose interessanti, anzi, il giàcitato An Ending è un sublime esempio della sottile poesia sonora di Eno. Weightless allo stesso tempo è un buon esempio di come si dovrebbe fare ambient. Ma niente. Niente, può giustificare l’obrobrio di Deep Blue Sky. Sembra un valzer, ma è in 4/4, un po’ come in quell’episodio dei Simpson (la differenza è che i Simpson hanno fini comici, Eno non dovrebbe averne…). Incomprensibile la scelta di mettere una primitiva sezione ritmica ad un brano ambient; volendo parafrasare un altro tra i maggiori musicisti degli ultimi anni, Roach: «La musica ambient consiste nell’eliminazione del fattore tempo e nel trattenere l’ascoltatore in un infinito “ora”».

Insomma, un album mediocre; se non fosse per quei due colpi di genio, lì in mezzo all’album, che alzano notevolmente la media, il disco sarebbe da 1. E detto da un grande appassionato di Eno…