Perché Catullo è proprio bello e divertente
2013-11-14
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"Appassionato nei versi d'amore, ironico nell'invettiva personale, divertente nel descrivere la vita quotidiana"

Così viene descritto Catullo nell'introduzione dell'edizione Einaudi Tascabili della sua raccolta di carmi. Beh, in effetti è proprio così: egli alterna momenti di superbo lirismo ad allusioni sessuali a scopo denigratorio. Ebbene, in questo post voglio raccogliere il meglio dei due mondi, quello più appassionato e quello più divertente, in modo da capire che Catullo non è solo un nome a caso in un manuale di letteratura latina ma è anche un simpaticone che per capirci anticipa di 2000 gli attuali De Sica e Boldi.

Carme 70.

Nulli se dicit mulier mea nubere malle quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat. Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti, in vento et rapida scribere oportet aqua.

La mia donna dice che non vuol stare con nessun altro, neanche se la chiedesse Giove in persona. Così dice, ma quello che dice una donna all'amante appassionato, va scritto sul vento e sull'acqua che fugge.

Parzialmente ispirato all'epigramma 15 di Callimaco, trovo questo carme suggestivo soprattutto per l'ultimo verso estremamente poetico; il principio del panta rei eracliteo applicato per indicare la fugacità delle parole, dette oltretutto da una persona fidata.

Carme 80.

Quid dicam, Gelli, quare rosea ista labella hiberna fiant candidiora nive, mane domo cum exis et cum te octava quiete e molli longo suscitat hora die? Nescio quid certe est: an vere fama susurrat grandia te medii tenta vorare viri? Sic certe est: clamant Victoris rupta miselli ilia, et emulso labra notata sero.

Che dire, Gellio? Perché le tue labbra di rosa diventano più bianche della neve d'inverno, quando al mattino esci di casa e quando al meriggio dei lunghi giorni ti svegli dal morbido sonno? Di preciso non so, ma si mormora che tu ingoi la grande appendice che i maschi hanno a mezza persona. Dev'essere così: lo proclamano le reni sfinite del povero Vittore e le labbra lattiginose di siero.

Che dire, lettore? La poesia è abbastanza chiara già da sé. Gellio, non identificabile in alcuna personalità precisa del suo tempo, era stato probabilmente un amico di Catullo o, quantomeno, una conoscenza piuttosto importante nella sua vita. Costui infatti sembra che abbia disturbato gli amori di Catullo verso Lesbia (ed ecco spiegate le invettive che più volte, nel liber, gli vengono lanciate). Un pensiero, che più volte leggendo questa raccolta mi è venuto in mente, è che se qualcuno avesse anche solo l'idea di scrivere una poesia del genere ai nostri giorni al minimo lo denunciano per diffamazione a mezzo stampa e gli danno la pena di morte, AL MINIMO.

Carme 96

Si quicquam mutis gratum acceptumve seplucris accidere a nostro, Calve, dolore potest, quo desiderio veteres renovamus amores atque olim missas flemus amicitias, certe non tanto mors immatura dolori est Quintiliae, quantum gaudet amore tuo.

Se qualcosa può giungere accetto e gradito ai muti seplocri, Calvo, dal nostro dolore, dalla nostalgia con cui rinnoviamo gli affetti di un tempo e piangiamo i sentimenti perduti, allora Quintilia non prova tanto dolore per la morte immatura, quanta gioia per il tuo amore. 

Un piccolo carme che nella sua apparente monotonia racchiude un sentimento di fortissimo affetto nei confronti di Licinio Calvo, poeta neoterico, e della moglie Quintilia, appena deceduta. Gli ultimi due versi, nella loro semplicità, dimostrano la vicinanza amichevole all'amico scrittore, rassicurato del fatto che Quintilia non prova dolore per la sua stessa morte, ma piuttosto gioisce per l'immenso amore del marito nei suoi confronti.

Carme 56

O rem ridiculam, Cato, et iocosam, dignamque auribus et tuo cachinno! Ride quidquid amas, Cato, Catullum: res est ridicula et nimis iocosa. Deprendi modo pupulum puellae trusantem; hunc ego, si placet Dionae, protelo rigida mea cecidi.

Ho da raccontarti un bellissimo scherzo, Catone: merita che tu ci faccia una risata. Ridi, Catone, se vuoi bene a Catullo: ti dico, è uno scherzo bellissimo. Ho visto un ragazzetto che stava trombando una ragazza e, piacendo a Venere, mi sono messo in fila e col membro rigido l'ho infilato. 

Ennesima riprova di quanto i romani fossero molto meno sensibili (e quindi molto più avanti di noi) rispetto ad argomenti quali invettive personali, atti osceni in luogo pubblico, omosessualità e qualsiasi altra cosa che voi possiate ritenere un tabù. In questo carme Catullo racconta a un Catone (forse Valerio) uno scherzetto innocente messo in atto ai danni di un ragazzetto colpevole di stare strombazzando a caso da qualche parte in città. Come, utilizzando un salto temporale di millenni, direbbe Marcello Macchia in Italiano Medio:

"Ieri sera ho incontrato 'sto maiale che stava scupando e mi son messo in fila e GLIEL'HO BBBUTTATO!"

Carme 85

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Odio ed amo. Mi chiederai come sia posssibile; Non so, ma sento che succede, e mi tormento.

Il celeberrimo Odi et amo catulliano, che alcuni mettono in rapporto con un più antico frammento di Anacreonte (fr. 83: "E ancora amo, e non amo, e sono pazzo e non sono pazzo"), è ricordato soprattutto per la sua memorabile originalità stilistica, con la quale in due piccoli versi la lacerazione interiore viene estremizzata e ridotta alla polarità primitiva di opposti assoluti: nulla si può fare contro questa opprimente condizione esistenziale, tanto comune a tutti gli uomini quanto impossibile da combattere. E cosa fa il poeta, o tutti noi, di fronte a questa impotenza? Excrucior, si tormenta, tanto per la frustrazione di fronte all'incapacità di trovare una spiegazione ragionevole al fenomeno quanto per la sofferenza di vivere emozioni opposte senza avere la possibilità di controllarle.