Il vecchio anno, l'anno nuovo e quello che verrà
2015-01-05
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Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc...

[Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916, Avanti!, edizione torinese, rubrica Sotto la Mole.]

L'uso della tecnologia modifica il nostro modo di rapportarci alle persone, e di questo ce ne siamo accorti soprattutto negli ultimi anni. Insomma, il solo possesso del telefono cellulare quanto ha cambiato (nel giro di dieci quindici anni!) il modo di comunicare con gli altri? Difficilmente si riesce a scindere oggigiorno una distinzione che in passato credo fosse quantomeno un po' più accentuata: nella mia visione del mondo, ci sono momenti di studio-lavoro-attività fisica-attività mentale, e momenti di riposo-relax-calma; più si va avanti, più mi sembra che attrezzi come smartphone e cellulari e entità come internet e tutto ciò che ne consegue tendano a intrufolarsi nella nostra vita e lentamente a possederla e a controllarla dall'alto. Ed è così che si è passati da telefoni "portatili" pesanti un kilo ai Motorola ai Nokia agli Iphone ai Samsung Galaxy agli Ipad e, insomma, chi più ne ha più ne metta (mi sento di escludere i Google Glass a priori per il flop di vendite cui questi sono andati incontro); parallelamente, si è passati dalle chiamate agli sms a whatsapp a Facebook Mobile a Viber a Snapchat e, insomma, idem come prima. Oggi è impensabile uscire di casa senza telefono, o ancora peggio non avere affatto un telefono, ma mi pare che anche solo 20 anni fa questa fosse la normalità, e ci si doveva affidare alle famose cabine telefoniche o ai telefoni fissi nei bar o così via [1.]. Detto questo, dove voglio arrivare? Voglio arrivare al perché in questo momento il mio S3 sta accanto alla mia tastiera e perché ogni cinque minuti faccio accesso su whatsapp per vedere se una data persona si degna di cagarmi oppure no [2.]. Com'è cambiato il mondo di fronte a questa nuova scelta tecnologica?

Ad esempio mi pare (purtroppo non posso confrontare la realtà del passato con la mia idealizzata visione realtà attuale) che al giorno d'oggi le relazioni a distanza siano molte molte di più rispetto a venti anni fa; aldilà che ciò sia vero o no è innegabile che tutti gli Skype Facebook Whatsapp e compagni facciano un lavoro tremendamente importante per chi si è calato in una tale avventura [3.]. In questo senso la tecnologia viene incontro alle persone, e si può dire che abbia in un certo senso migliorato le cose; la tecnologia diventa così un mezzo per diventare felici, o quantomeno per sopperire al distacco, alla lontananza delle persone amate.

La stessa persona citata a [3.], nella medesima occasione, mi ha raccontato una cosa che le era successa da piccola (ammettiamo che il suo nome di fantasia sia, così, Fiammetta). Un giorno Fiammetta va dal papà e gli dice: papi, sai cosa? ho scelto di essere triste nella mia vita. Al ché, il papà si meraviglia e chiaramente le chiede cosa le sia successo; la sua risposta fu che al mondo ci sono solo un certo numero di persone che possono diventare felici, e lei, con il suo essere volontariamente triste, sperava di liberare un posticino di felicità a qualche altra anima del mondo che in quel momento era triste. La questione da trattare qui non è la predestinazione degli uomini ad essere felici, né la possibilità di scegliere se essere felici o meno, ma il fatto che non tutti possono essere felici contemporaneamente. Ne avevo già parlato qui: a meno di considerare l'ipotesi assai inverosimile di un mondo completamente stoico, ci sarà sempre almeno un "terzo escluso" che per ogni gruppo di persone felici deciderà di opporvisi e contrastarne la felicità stessa [4.]. Un paradiso per gli egoisti e un inferno per gli altruisti. Non per niente una delle cose che più si sente dire quando un tuo amico viene tradito dalla ragazza è o "io quello lo ammazzo di male diomadonna" (affermazione che non rientra nelle cose da discutere qui, anche se potrei inserire un'altra nota di dimensioni spropositate per digredire su ciò) oppure, se si tratta di qualcuno particolarmente passivo-aggressivo, "io voglio solo il suo [della ragazza] bene"; sono dell'idea che un buon 75% di coloro i quali dicono una cosa del genere lo faccia solo per dimostrare la propria sensibilità all'interlocutore e non perché realmente lo pensano (dai, insomma, ci siamo passati tutti. Vero?), ma i restanti veri sensibili si ritrovano incastrati in questo gioco senza via d'uscita che, per la loro particolare e forse ammirevole personalità, si vedono destinati a perdere.

La stessa persona citata a [3.] è una ragazza meravigliosa che tende a sottovalutarsi un po' troppo. Che c'entra questo con il resto del discorso? Non ricordo se questo fosse un discorso che ho fatto una mattina mentre davanti allo specchio mi lavavo i denti oppure se l'ho fatto alla suddetta persona [5.] ma --- no no, ora ricordo, era la fredda ma soleggiata mattina del primo gennaio 2015, io e (per abbreviare, chiamerò quella persona con il nome di fantasia Irene) Irene stavamo scendendo una strada con almeno il 25% di pendenza e completamente ghiacciata e con un cane di stazza simil-ciuaua che ci abbaiava e contemporaneamente tentava di raggiungerci dal fondo della strada (invano, visto che scivolava continuamente sul ghiaccio in chiusure degne di Paperissima) e parlavamo del nostro futuro e insomma è saltato fuori l'argomento ma perché non hai fatto il conservatorio eccetera; la questione però non sta nel mio futuro, sta in una frase che ho sentito spesso e che sempre (o almeno, da quando ho letto per la seconda volta Il Cigno Nero) mi rende perplesso.

Quando, ad esempio, dopo l'esibizione di qualsiasi cantante merdoso che passa sulla rai nella fascia oraria protetta la barista del bar in cui sono inizia ad urlare "Te ma hai sentito? Se l'è braoooo" e il gommista dell'officina poco distante, il quale da ubriaco ama far credere di avere rapporti con la signora che è sempre sobria accanto a lui durante le sue sbronze e che, in seguito a ricerche e voci di corridoio, si è rivelata essere la sorella dello stesso, urla "Ta ghet prope resù dio cane!!", il mio primo pensiero è tipo "quanto amo questo bar"; il secondo invece mi porta a pensare a quali parametri hanno utilizzato queste due persone per stabilire la bravura di quel cantante. Checché se ne dica, infatti, dire che "un cantante è bravo" è una cosa non certo immediata se non si possiedono nozioni sul praticantato (inteso come "pratica del canto"): detto fuori dai denti, questa gente dice cose (magari corrette ma) ingiustificate e, pertanto, insensate. Come può una persona qualsiasi dire "Arrau è il più grande interprete delle sonate di Beethoven" o "Pavarotti è il più grande cantante del mondo!" o anche "Gemitaiz is the best fuck the rest"? Questo atteggiamento nasce da un'accettazione passiva della mentalità comune, di quel grande "cervello globale" che influenza tutti noi; questa è la prima spiegazione che mi viene in mente. Certamente ci sono casi in cui questi giudizi giungono da persone che ritengono di avere adeguate conoscenze in merito all'argomento, a ragione o a torto; il che, seppur bisogna ammettere che sentirsi dire da uno sconosciuto in un commento di youtube "io ho il diploma di teoria e solfeggio e suono il pianoforte da tre anni e ti posso assicurare che Benedetti Michelangeli suona in modo macchinoso" possa risultare fastidioso, è già un passo avanti. Poi, onestamente, si può scalare o risalire quanto si vuole ma infine si giunge sempre alla conclusione che nulla si può dire sull'arte perché soggettiv bla bla bla e alla fine ti viene da pensare ma perché ci si scanna a dire se Michelangeli è meglio di Barenboim e così via.

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Woody Allen e Diane Keaton in Annie Hall.

Molto più importante del "Cogito ergo sum", secondo me, è l'agostiniano "Si fallor sum" (impropriamente conosciuto anche come "Dubito ergo sum"). Non per il significato intrinseco che aveva all'interno della filosofia di Agostino, ma per il significato che si deriva decontestualizzandolo ignorantemente e mal interpretandone la decontestualizzazione: dubito quindi sono, e solo se dubito sono; il mio dubitare è qualcosa di inscindibile dal mio essere. Quello che voglio dire è che il dubitare è una fase terribilmente critica nel processo gnoseologico. Il "dubbio metodico" cartesiano è qualcosa di estremamente complesso (come d'altronde immagino abbia pensato chiunque abbia letto Cartesio) da applicare alla realtà, perché chiede a tutti noi di sospendere il giudizio, di mettere in discussione e in qualche modo testare le basi su cui costruiamo il nostro sistema di assiomi. Cartesio dice che finisce il dubbio dove sussiste l'evidenza; ma è così semplice stabilire un'"evidenza"? Se ci dovessimo attenere alla matematica, forse si potrebbe dire che le evidenze cui si giunge deduttivamente sono quegli assiomi fondamentali che ricadono sotto il nome di Assiomi di Peano. Ma per la realtà? Dove sarebbero queste famose evidenze nella realtà? Mi verrebbe da dire, parafrasando altrettanto ignorantemente Vico, che se possiamo giungere a verità matematiche perché siamo noi stessi artefici della matematica, è impossibile giungere a verità sull'uomo (e quindi sulla sua morale), essendo questo creato da Dio o da chi per lui.

Se così fosse, la maggior parte delle discussioni su cose morali sarebbe molto probabilmente inutile, non essendoci modo per giungere a qualche tipo di verità. È così? [6.]

Il fatto è che il mondo non va così. O piuttosto, forse il mondo va così, ma noi non ci crediamo fino in fondo. Ognuno si crea in maniera più o meno conscia certi assiomi dentro di sé, assunti fondamentali dai quali difficilmente ci si stacca. C'è quella frase bellissima di Morgan prima che iniziasse a tirare di coca che fa: "Molto spesso una crisi è tutt'altro che folle / è un eccesso di luciditààààà", una crisi significa in effetti rimettere in qualche modo in gioco il nostro sistema di valori, significa ridiscutere le fondamenta di noi stessi; la crisi è il primo passo per una nuova presa di coscienza, un nuovo modo di vedere le cose. Nei momenti di crisi, forse, vediamo noi stessi per come siamo fatti davvero, con più chiarezza e meno influenzati dall'esterno. Il problema sta tutto qui, che abbiamo una paura fondamentale del nostro vero io, abbiamo paura di distruggere le convinzioni pregresse e di portare alla luce ciò che davvero siamo.

Cosa siamo quindi? Bestie, puttane, santi, eroi, e in ogni caso abbiamo paura di ammetterlo, persino a noi stessi. Voglio tornare sulla ragazza della nota [3.], che davvero si chiama Irene ed è ciò attorno a cui ruota non solo questo articolo ma in generale la mia vita ora; ciò che forse traspare dalle mie parole è che sono innamorato di lei, ed in effetti... beh, ecco, è così (l'amore, temo, è l'antitesi più completa della sospensione del giudizio).

Sono passati solo sei giorni dalla notte a cavallo tra i due anni e, pur essendo astemio e pur non necessitando di droghe perché "sono stupefacente di mio", fatico già a ricordare tutte le cose dette e fatte in quei momenti. Non sono sicuro di averlo detto, ma sono sicuro di averlo pensato più di una volta nel corso della mia breve vita: il caos all'interno del quale tentiamo di districarci, per quanto ci si sforza e ci si prova, è davvero indistricabile, e ciò che sta a noi decidere è semplicemente se accettarne l'incomprensibilità oppure rifiutare quest'idea. Tutta la mia vita e quella degli altri ruota attorno alla questione più importante, la ricerca della felicità; felicità, per me, significa trovare la persona che amo, suonare il pianoforte finché non esisteranno più note da suonare; divertirmi, conoscere, amare. Riconosco però che, alla luce di tutto ciò che abbiamo detto, il mondo inteso come totalità delle cose che accadono potrebbe ostacolare (ma, perché no, anche favorire) la mia personalissima realizzazione personale; il tempo inteso come insieme dei fatti potrebbe cambiare i miei "obiettivi di felicità", e in questo senso riconosco che noi non siamo affatto artefici del nostro destino. Ma amici, non c'è modo migliore per mandare a puttane un saggio che almeno nelle intenzioni voleva essere serio e razionale che non dicendo: l'amore cambia stupidamente il vostro modo di essere, e non c'è filosofia che tenga, non c'è raziocinio che tenga, quando accanto a te hai una ragazza che ti fa impazzire, e io... beh... io questa ragazza ora ce l'ho, e mi capita tante volte ogni giorno di sentirmi la persona più felice al mondo, e non mi importa se lei nel suo inconscio in realtà sia una bestia o una santa o una puttana o un' eroina, quello che io so è che lei è la persona che mi rende felice, e questo, sinceramente,

mi basta davvero.

Buon anno a tutti, amici miei. Vi auguro davvero di vivere un capodanno ogni giorno che avrete la fortuna di svegliarvi sotto la cappa di questo cielo bellissimo e meravigliosamente complicato. Vvb.

 


 

[1.] Una sera eravamo io e la mia migliore amica e altri ad una cena ad un ristorante che, ironia della sorte, si chiama What's Up, a Zogno, locale carino ma purtroppo, molti dicono, in via di fallimento. Era una festa di compleanno e come regalo avevo deciso di prendere al festeggiato una lavagna, comprata ad 8 euro e 90 dai cinesi, un po' scomoda da portare ma tant'è, formato 100x60, che subito ha attirato le attenzioni di quello che penso fosse il (nuovo) gestore del ristorante, che attacca con una serie di battute poco divertenti ma dette con una bergamasca pronunzia che le rendeva quasi la parodia di sé stesse. Qui entra in gioco la mia amica, che stava scrivendosi con un ragazzo e che costantemente teneva il telefono sul tavolo e rispondeva immediatamente ai messaggi; il suddetto oste arriva e le sussurra in un orecchio dolci parole: "finché si mangia, non voglio vedere telefonini sul tavolo", al ché io non sapevo se applaudire o riflettere, fatto sta che questa mia amica ha continuato nascostamente a rispondere a messaggi (per inciso, decisi di riflettere e di non applaudire). Non so quanto possa essere utile questo discorso, ma ho ritenuto doveroso inserirlo per due macromotivi: in primis, avvalora la mia tesi secondo cui stiamo tutti perdendo qualcosa dall'abuso delle tecnologie, qualcosa che un prete definirebbe "la gioia dello stare insieme" o "il senso della comunità", parlarsi di persona, scherzare, i tempi comici, tutte queste cose; in secundis, voglio dire, il ristorante si chiama What's up...

[2.] Per inciso, non mi sta cagando e la cosa mi preoccupa, rendendo ancora più evidente i seguenti fatti: 1. Preferisco scrivere su Mattyonweb piuttosto che dedicarmi ad intessere rapporti sociali e 2. I servizi di messaggistica online gratuiti hanno reso le persone o sfacciatamente sicure di sé (e a tratti presuntuose) o incapaci di scrivere un semplice messaggio del tipo "HUEH COME BUTTA ZIA TAPOST TAPOST".

[3.] Io ho sempre visto con perplessità le relazioni a distanza, forse perché con le ragazze che ho avuto sono sempre stato moltissimo geloso, o meglio, la mia non è esattamente gelosia, è insicurezza cronica che si rispecchia in determinati gesti, reazioni e pensieri che la gente definirebbe "da geloso". Come ho avuto modo di raccontare a una persona durante la notte di capodanno, a livello razionale accetto con molta semplicità l'idea secondo cui io mi possa fidare di qualcuno, ma un certo cortocircuito tra ragione e cuore inteso come atto emotivo della mente mi blocca e mi porta spesso a reagire impulsivamente di fronte anche ai più impercettibili e forse inesistenti segnali che il mondo attorno a me mi manda. Detto in soldoni: quando si parla di ragazze o ragazzi, ci vuole un niente per mettermi in uno stato di agitazione tremendo.

[4.] Per cercare di essere meno astratti, prendiamo a esempio due ragazzi X e Y innamorati della stessa ragazza; questa sarebbe la "rappresentazione del gioco", in qualche modo:

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2 4$'x';'y';'x&y';'~(x&y)';'(1,-1)';'(-1,1)';'(-1,-1)';'(-1,-1)' (wordpress mi formatta la mia bellissima tabella in ascii e quindi vi do il codice per rappresentarla in J)

In poche parole, ammesso che la poligamia sia inattuabile nella stragrande maggioranza dei contesti e che un rifiuto è in ogni caso fonte di "tristezza", la cosa migliore possibile che si possa fare in questo è accontentare uno solo tra X e Y.

[5.] Non intendo paragonare quella persona alla routinaria pulizia mentolata dei denti, sia chiaro.

[6.] Per me, è così. Anzi, ai nostri giorni sembra ancora più facile esserne convinti, vista la gran confusione che sembra regnare nella mente di chiunque, con il mondo accelerato la società liquida bla bla bla. Il fatto è che se una volta venivi cresciuto con una certa mentalità, difficilmente avresti potuto rendertene conto per il semplice fatto che non avevi modo di interagire con altre realtà, con altri "insegnanti" insomma; per la maggior parte delle persone, credo che l'adesione ad una forma mentis fosse più dettata dall'ignoranza di altre vie alternative. Oggi, invece, questo tipo di fanatismo teoricamente non più tollerabile eppure è ancora presente ma in una subdola variante: la gente ha la superficialissima coscienza dell'esistenza delle altre vie, ma solo una gliene viene imposta (dai soliti soggetti, la società le lobby la massoneria ecc). In poche parole, prendiamo per partito preso la prima cosa che leggiamo, ne siamo influenzati e inconsapevolmente costruiamo un muro più o meno spesso per metterci al riparo da idee diverse. L'agnosticismo, inteso come sospensione del giudizio, mi sembra fondamentalmente assente ai giorni nostri, tanto tra i creduloni (ovviamente) tanto tra quelli come me che probabilmente predicano bene ma più o meno inconsciamente razzolano male.