Films - Pi
2013-12-31
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Pi, 1998 (sono già passati 16 anni...), è il primo film diretto da Darren Aronofsky, autore dei più famosi Requiem for a Dream (2000) e Il cigno Nero (2010), e bisogna dire che come inizio di carriera è davvero invidiabile.

È un film strano, certo. Diciamo che uno spettatore medio farebbe probabilmente fatica a seguirlo senza lamentarsi della sua insensatezza; ma un buon cinefilo, dopo essersi abituato alle stranezze surrealiste e agli svariati viaggi onirici nei mondi del sogno (e dell'incubo), troverà questo film sorprendente nella sua originalità visiva così come nella sua capacità di comunicare, nonostante tutto, ma comunque linearmente, una storia.

È difficile far capire la bellezza di questo film. Le immagini scorrono veloci, gli avvenimenti si susseguono rapidi, intervallati da spezzoni allucinatòri in cui si manifestano le immagini prodotte dalle emicranie del protagonista. E se un momento prima ci si trovava in una stazione della metropolitana deserta, osservando un uomo, lontano e impassibile, che perde sangue dalla manica della giacca, subito dopo ci si ritrova nell'ambiente claustrofobico della casa di Max, circondati da computer affetti da strani bug e da lucine lampeggianti appiccicate ad apparecchi elettronici non identificabili. Tutto ciò può accadere nel giro di pochissimi secondi, senza quasi che uno possa rendersene conto.

I veri punti di forza di Pi sono, probabilmente, le scene delle "allucinazioni" del protagonista; affatto scollegate dalla storia principale (che, come ho già accennato, per un film del genere è insolitamente chiara), danno l'idea della condizione tormentata e terribile di Max, ossessionato da un'idea, che il mondo possa essere descritto attraverso sequenze di numeri, e oppresso da un gruppo di ebrei che vuole scoprire l'antico nome di Jhavè attraverso la codificazione della Torah (che idea, Aronofsky!).

Non si può non citare però l'atmosfera generale che permea l'intero film, ed è qui che il regista ha saputo utilizzare al meglio gli strumenti a sua disposizione: l'utilizzo del bianco e nero, il contrasto intenso, le tecniche di ripresa, ma anche la musica (chiaramente di stampo elettronico, quasi "isolazionista" oserei dire), le ambientazioni (penso soprattutto ad una rara scena all'aperto in cui Max passa del tempo su una spiaggia a contemplare le conchiglie) e i temi trattati (l'autodistruzione dell'io, l'isolamento volontario, l'incomprensione della genialità, e altre cose che nemmeno saprei pronunciare) portano di diritto Pi in un'ideale top ten dei film di carattere psicologico e/o surrealista.

Un film davvero bello, mai noioso, che non annoia nemmeno dopo averlo visto più e più volte.