Bluvertigo – Metallo non Metallo
2011-06-21
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Prima di tutto, un piazzamento storico di questo disco: siamo nel pieno degli anni ’90 del ‘900. Diciamo che siamo nel decennio della musica leggera, sicuramente il prog non andava per la maggiore. Le canzoni abusavano spesso degli stessi temi (che, guarda caso, ricorrono anche oggi), in particolare quello della storia strappalacrime amorosa che poteva indurre un orecchio non abituato al suicidio. In questo clima, comunque, di euforia abbastanza generalizzata, spunta all’improvviso un gruppo che ha poco o niente di queste caratteristiche. Abbigliamento e capigliatura molto eccentrici; propensione ad un linguaggio piuttosto forbito; elettronica. Ecco gli ingredienti che hanno reso famosi i Bluvertigo. Un po’ tutti nel gruppo hanno qualcosa di anormale, di diverso dal solito. C’è la voglia di comunicare, sì, ma in un modo piuttosto distaccato o, quantomeno, diverso dal normale punto di vista di un normale ascoltatore. Il primo disco vero dei Bluvertigo è anche l’inizio della cosiddetta “Trilogia chimica”, tanto amata da Morgan. Secondo lui, in questo disco ci sono molti segreti i quali riguardano la scelta del titolo, della copertina e, soprattutto dei testi. Mai, fino ad allora, c’erano state delle lyrics del genere: in totale opposizione alle banali storie d’amore, Marco Castoldi (in arte Morgan) scrive Iodio, una specie di inno non incitante bensì provocatorio e stimolante nei confronti di questa emozione che entra prepotentemente nel mondo della musica. Altre canzoni degne di nota sono L.S.D. e Complicità, cover dei DM. Tuttavia, quello di cui volevo scrivere è il secondo atto della trilogia, ovvero Metallo non Metallo. Anche qua, molte speculazioni (tra l’altro confermate dallo stesso Morgan) sulla scelta del titolo che gioca sulla palindromia della locuzione e di conseguenza sulla O di ‘Non’. Il titolo lascerebbe presagire un disco Metal e, infatti, così non è. Synthpop, sperimentazione, new wave, alternative… solo 4 delle molteplici contaminazioni stilistiche commutate in questo disco. Parlando dei brani, la loro struttura è più articolata rispetto all’album precedente. Sonorità tipicamente sintetiche a contatto con suoni tipicamente acustici, come il sax di Andy o l’acustica di Magnini. Rimangono memorabili canzoni come Altre F.D.V., un pop decisamente futuristico riguardante la possibilità di scoprire altre forme di vita nel cosmo; c’è l’incredibile ed elettronica Fuori dal Tempo, con la celebre frase “Ti piacciono le riviste di meccanica?”; c’è l’esperimento sonoro made by Morgan Cieli Neri, molto più di una piano ballad. Infine, quello che io ritengo (stranamente) il miglior pezzo del disco, ovvero L’Eremita – So Low, un fulmine a ciel sereno, oserei dire: probabilmente il brano meno contaminato da sinth vari in tutto l’album. Una nota curiosa riguarda l’ultima traccia, che contiene una cosiddetta ‘Ghost Track’: se si lascia scorrere il silenzio per qualche minuto partirà una traccia senza nome, piuttosto eterea e dal carattere sospensivo, l’ideale per concludere un album del genere. Secondo me, un disco che musicalmente parlando avrebbe dovuto cambiare la storia della musica italiana e, nel suo piccolo, in fondo c’è anche riuscito. Un album immancabile per ogni buona raccolta di cd di musica italiana…