A day in the life
2013-12-20
(home)

Non so se avete presente quella strana sensazione di quando ascoltate qualcosa di realmente sconvolgente. Non parlo solo di musica, in generale, come vi siete sentiti quando avete sentito per la prima volta l'edizione straordinaria di qualche tg dare la notizia dell'attentato delle torri gemelle? Quando avete sentito che Neil Armostrong è morto? "Quando un bel giorno ti svegli e leggi che è scoppiata una guerra"? Quella sensazione di smarrimento. Non capisci. Credi di non aver capito, ma è così, è davvero successo; senti che la notizia potrebbe coinvolgerti da vicino, come se dal penitenziario vicino casa fosse evaso un pluriomicida che odia particolarmente i ragazzini che hanno un blog e che suonano il pianoforte. E ti senti, da qualche parte nelle profondità del cervello, parte di un grande piano. Mi spiego: pensate a quando c'è stato il terremoto in Emilia qualche anno fa. Anzi no, troppo poco unitario. Pensate allora agli ultimi europei di calcio; per chi non si ricordasse, l'Italia partiva da sfavoritissima, perdente in quasi tutte le amichevoli pre-torneo, ci si aspettava il disastro insomma. E invece: Italia Spagna 1-1, Italia Inghilterra 4-2 dopo i rigori bellissimi di Pirlo e Diamanti, Italia Germania 2-1. Lasciamo da parte la finale, quella fa storia a sé, ma chi di voi si ricorda come ci si sentiva mentre Caressa urlava frasi incomprensibili al termine della partita con la Germania? Quella sensazione di far parte di qualcosa di grande, qualcosa di forte, di cui essere orgoglioso. Alcuni dicono che noi, italiani, siamo uniti solo dal calcio, beh, forse hanno ragione, ma è il loro atteggiamento nichilista che dà fastidio; pensiamola così, che almeno in ciò siamo un'unica nazione: "Raccolgaci un'unica bandiera, una speme [...]". Poi certo, ci sono sempre i detrattori, ma intendiamoci, c'è tipo e tipo. C'è qualcuno cui il calcio non piace, va bene; c'è qualcuno cui il calcio non piace ma in aggiunta fa pesare il fatto che, per esempio, io sono un tifoso. Della mia stessa nazionale. Una delle poche cose di cui possiamo ancora andare fieri! Insomma ragazzi, i'mfine, nichilist, iononmidivertomai, zeb89, perché siete felici se la nazionale italiana, ripeto italiana, perde 4-0 in finale? "Voi non vi sentite italiani"? Il calcio è uno sport stupido, è vero, così come lo è anche il basket, il football americano, la pallavolo, a pensarci bene quale sport non lo è? Si tratta pur sempre di rincorrere una palla, correre più e più volte su una pista, tirarsi mazzate per poter fare touchdown. Ma finché è una cosa che ci può rendere fieri, qualcosa di cui poter dire "Eh, si, non per vantarmi ma... noi italiani siamo i migliori!", qualcosa di cui essere orgogliosi, beh, io credo che qualsiasi cosa sia dovremmo tenercela ben stretta. Tornando al discorso iniziale: quella sensazione. Magari voi non amate il calcio, ma in qualche modo l'avete sicuramente provata. Ecco, avete mai provato a inventarvi le parole? Dico, con un significato dietro: prendere un concetto e dargli un nome, così, per il semplice gusto di farlo. Penso alla Yakamoz. Una parola turca intraducibile in alcun'altra lingua, che significa più o meno: l'iridescenza, l'immagine radiosa della luna durante il plenilunio che dona scintillio alle onde mosse dai remi. Voglio dire, qualcuno ha pensato a quest'immagine suggestiva e ha detto "Mah, chiamiamola Yakamoz". E così è stato, ed è una parola bellissima, e non è l'unica nel suo genere, vedi cose tipo Weltanschauung, Saudade, Toska, Mamihlapinatapei, Zweisamkeit (!!). Mentre pensavo a quella sensazione di cui parlavo, cercavo di darle una parola per identificarla. Mi sono accorto di quanto è complesso, dico sul serio. Perché siamo tutti bravi a dire kshfbj, udfsbads, dsfja aknmfu fdhj quando vogliamo far finta di parlare una lingua che non conosciamo, ma quando parliamo la e della nostra lingua è difficile creare un agglomerato di suoni che non risulti stupido. Anche perché poi, esempio classico Democrazia, le parole derivano dal greco, δῆμος e κράτος, e io per esempio il greco non lo so. So però, anche se dire "so" è esagerato, diciamo piuttosto "conosco di sfuggita", il latino, per cui, dizionario alla mano ho cercato di unire parole di origine latina affinché dessero almeno il senso generale del concetto che volevo esprimere; risultato: aiuto. Perché mi era difficile creare una parola con quel significato, a meno di non chiamarla sensushaberealiquidmagnumesse o cose del genere, ma ciò è da evitare, perché potrei fare errori nel latino e diffondere una parola che è sbagliata in partenza non va proprio bene. Eppure sono stati creati neologismi per qualsiasi cosa, esodati, associale (che scopro solo ora esistere ma soprattutto scopro solo ora avere il significato diametralmente opposto di asociale ), chattare, queste cose qua insomma, ma come ci sono arrivati? Sono tutte di derivazione greco-latina o inglese, esistono parole autoctone italiane? Non me ne vengono in mente, né internet mi aiuta, stupido internet. Una parola assoluta, slegata dalla lingua dei nostri avi. Chissà da cosa hanno avuto origine le parole? Italiano, volgare, latino, greco, ittita, egizio, sumero, e poi? Siamo figli delle stelle. Le nostre parole derivano dal sumero! Chissà quali meravigliosi mutamenti fonetico-ortografici hanno attraversato nel corso dei millenni questi insiemi di suoni più o meno gutturali, chissà come s'è giunto per esempio da "Dingir" a "Dio". La radice è la stessa, ma è un mondo tutto ciò che cambia. Vorrei impararle tutte queste lingue, mi sembrano tutte bellissime, dal greco antico all'islandese, dal sumero al faroese; il poliglotta è la persona verso cui posso nutrire la mia massima ammirazione, perché in lui è contenuta tutta la conoscenza e l'esperienza accumulata dall'uomo nel corso della sua storia, e scusate se è poco. Cercare l'archè, l'origine di tutte le cose. Si, è esattamente come la storia delle stelle, abbiamo tutti un'origine comune che viene da molto lontano. Il fascino del tempo che scorre. E chissà, quanti exabyte di memoria abbiamo perduto nel corso della storia, quanti libri bellissimi non possediamo più, quanta musica rimasta nell'aria, quante parole... Non è estremamente affascinante? Non mi ero mai posto un problema del genere. Dare il nome a un concetto.  Una cosa all'apparenza così semplice, così complessa. Pensare a tutto ciò mi ha fatto venir voglia di studiare davvero il faroese, quantomeno sembra un po' più facile dell'islandese, anche perché paradossalmente c'è più documentazione nonostante la vistosa differenza di diffusione. Si vede che ho iniziato a fare filosofia, e signori, con che risultati, otto e mezzo alla prima interrogazione in cui dovevo parlare tra le altre cose proprio del linguaggio. Che poi, continuiamoci a pensare: il linguaggio è una matematica descrittiva e complessissima e però al contempo teoricamente senza limiti, il linguaggio arriva là dove si trova il pensiero più astratto o puro. Il linguaggio è matematica. Logica. Un punto blu è diverso da un punto verde; "un" è stato scelto perché si parla di un ben determinato concetto inquadrandolo però da un punto di vista generale; "è diverso", e perché non "diverge"? Perché "è diverso" implica una separazione ben netta, due valori di verità distinti e opposti, "divergenza" implica che da un punto di convergenza iniziale si diramano due o più vie alternative non necessariamente opposte; anche qua, pensiamo a Wittgenstein, per ogni concetto dovremmo avere una e una sola identificazione, una sola parola, punto di partenza per un linguaggio rigoroso; ma non abbiamo detto perché "è diverso"; noi partiamo dalla proposizione complessa "un punto blu è un punto verde". Leggiamola sotto un punto di vista logico: A = B. Definiamo verde: serve una definizione ben precisa, scientifica possibilmente: definiamo verde l'insieme di frequenze elettromagnetiche che vanno da 540 a 610 THz, e definiamo blu l'insieme di frequenze elettromagnetiche che va nno da 611 a 670 THz (notiamo che, per essere completi, dovremmo dare una definizione condivisa di cos'è la frequenza, cos'è l'elettromagnetismo, che cosa sono i numeri!, ma non andrò così in profondità per motivi di semplicità. È comunque affascinante vedere come i concetti ritornino: parlavo prima della ricerca dell'origine del linguaggio, qui dovremmo andare alla ricerca del concetto primo, da cui hanno origine e definizione tutte le cose). Ciò premesso, e dato A come "blu" e B "verde", si deduce che A non può equivalere a B. Per cui Blu è diverso da Verde. Ora: cos'è un punto? Un punto è ciò che non può essere diviso in parti. Ammettiamo che il punto sia visibile (e che quindi abbia colore). Pensiamo alla matematica: se A diverso da B, C + A è diverso da C + B. Quindi "un punto blu è diverso da un punto verde". Logicamente corretta? Sì. Sintatticamente corretta? Pure. Sono tutti passaggi elementari che però noi diamo per scontati nei nostri ragionamenti. Ironia e maieutica, come diceva Socrate, dubitare sempre dei preconcetti. Lo stesso dire "Io sono mortale" nasconde ragionamenti complessi. Cosa si intende per "Io"? Il corpo, l'anima, anima e corpo? Cosa significa morire, cos'è la morte? La morte è parte della vita? Che cosa significa "essere"? Io sono. Cosa vuol dire? Io esisto, o non vuol dire niente? Questo è un problema del linguaggio: cercate su un dizionario di latino il verbo "do" e leggete quanti significati può avere. In un linguaggio perfetto, una parola corrisponde a un concetto.

Ma io, una parola adatta per quel concetto, proprio non riesco a trovarla.